Un distributore carburanti sul terreno della Chiesa, un sopruso che reclama giustizia

di Giulio Manstrangelo

Un uliveto secolare viene sacrificato sull’altare dello scempio del paesaggio per convivere con un distributore carburanti, a puri fini affaristici. Mi riferisco al profondo sbancamento che si va eseguendo su via Martina Franca nei pressi della via Del Santuario. Il danno non è soltanto al paesaggio e all’ambiente. Quel terreno infatti pervenne alla Chiesa di Massafra nel 1583 quando una bolla papale incorporò il beneficio di S. Maria della Scala al patrimonio del Capitolo collegiale di Massafra, poi trasferito gratis all’Ente interdiocesano per il sostentamento del Clero quando quest’ultimo è stato istituito negli ultimi decenni. Un’operazione questa, criticabilissima sotto diversi aspetti. Intendiamoci, è lecito al Clero (come ad altre categorie di lavoratori e/o professionisti) istituire enti previdenziali e assistenziali a patto che funzionino grazie ai contributi versati dai singoli lavoratori o professionisti e che, se investono in immobili, li acquistino a valore di mercato. Il patrimonio immobiliare dell’Ente per il Clero, invece, è stato costituito acquisendo a costo zero i beni delle Chiese particolari. C’è da dire che parecchie Parrocchie non si sono piegate al diktat, difendendo con le unghie e con i denti i loro patrimoni. Così non è stato per Massafra. Per capire la gravità dell’operazione compiuta, è bene premettere che il  patrimonio della Chiesa in antico era chiamato patrimonium pauperum (il patrimonio dei poveri), costituito da offerte libere con cui venivano aiutati gli orfani, le vedove, i poveri e i cristiani carcerati (si vedano in tal senso gli scritti di San Giustino e di Tertulliano). Tra i poveri, in origine, erano compresi anche i chierici, cioè il clero. Man mano che si accresceva, il patrimonio confluiva nelle mani del vescovo, dapprima quale amministratore unico, in seguito vincolato dalle norme emanate da papa Simplicio (a. 475) e da papa Gelasio (a. 494) i quali “imposero che i redditi della massa patrimoniale ecclesiastica non dovessero distribuirsi ad arbitrio del vescovo, ma classificarsi in quattro parti, destinandone una al vescovo, una al clero della comunità, (…) una ai poveri e una per la costruzione e manutenzione degli edifici di culto (fabrica ecclesiae)[1]. La formula della quadripartizione ebbe fortuna e si diffuse ovunque divenendo obbligatoria. L’acquisizione dei beni della Chiesa da parte dell’Ente per il Clero è una patente violazione del patrimonio dei poveri e di quella antica norma.  I frutti dei beni che in origine venivano destinati ai poveri e alla manutenzione delle chiese (oltre che al vescovo e al clero) ora sono destinati soltanto al sostentamento del clero. Sarebbe stato più giusto istituire un ente per il sostentamento dei poveri (e non soltanto del clero) al fine di compiereopere di apostolato sacro e di carità, specialmente al servizio dei poveri”, così come prescrive il secondo comma del can. 1254 del vigente C.J.C. Orbene, poiché l’Ente per il Clero ha acquisito gratis i beni della Chiesa di Massafra ritengo che non ne possa disporre liberamente. Anche se un certo terreno diviene improduttivo (come tutti gli oliveti secolari) e quindi non rende più niente, ritengo che l’Ente per il Clero non possa venderlo o mutarne la destinazione a fini speculativi ma debba, in base a un obbligo morale se non giuridico, restituirlo alla Chiesa cui apparteneva in origine. Così non è avvenuto. Su quel terreno non si è permessa la costruzione di strutture di aggregazione giovanile, ma si è dato il via a una operazione economica senza scrupoli, che non giova all’immagine della Chiesa tutta. Oltre che censurabile sul piano storico, culturale e morale, la costruzione di un impianto carburanti in quel punto è illecita sul piano giuridico. Tale impianto sta sorgendo ad appena 10 metri da una fila continua di case e di una scuola materna che costeggiano la via Martina Franca mentre la normativa regionale prescrive per i nuovi impianti una distanza non inferiore a 100 metri  (art. 13 comma 1 lett. b legge reg. n.21/2009) al fine di garantire la sicurezza e la salvaguardia delle persone e la tutela dei beni contro i rischi di incendio ed esplosione. Peraltro, esiste ormai una vasta letteratura in campo scientifico sui danni alla salute prodotti dai composti volativi (benzene e altri gas) riconosciuti come agenti cancerogeni, che si sprigionano dalle pompe di benzina e gasolio. Gli abitanti della zona e altri cittadini di Massafra si sono già mobilitati inviando un esposto al Sindaco, alla Provincia, alla Regione, al Vescovo diocesano e al Comando VV.FF. ed eventualmente potrebbero agire sul piano legale ove Comune e Provincia non facciano retromarcia annullando le autorizzazioni incautamente rilasciate. Sul punto è da registrare la presa di posizione di uno dei partiti di opposizione in Consiglio Comunale il quale ha chiesto al Comune di Massafra e alla Provincia di Taranto di indicare con urgenza quali siano le loro determinazioni sulla costruzione di tale impianto. Gli altri partiti, sia di maggioranza che di opposizione, per ora tacciono. Sarebbe bene che anche costoro facciano conoscere  ai cittadini di Massafra il loro pensiero su questo che è un problema di legalità e non già di opportunità politica.

[1]     V. Del Giudice,  Beni ecclesiastici, in Enciclopedia del Diritto, V, Milano 1959, pag.209.

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