Presentato il 28 aprile, presso la sede della Società Operaia di Mutuo Soccorso di Massafra, il Progetto “Le Vicinanze – Spazi condivisi” dell’Archeogruppo .
Tra i vari tesori di cui Massafra è custode, un posto particolare occupano le Vicinanze, ovvero quell’insieme di oltre 200 abitazioni ipogee tipiche del nostro Centro “Antico”, che l’Archeogruppo “E. Jacovelli” ha intenzione di studiare nell’ambito di un ambizioso progetto denominato “Le Vicinanze – Spazi condivisi”.
Anche con il potenziale ausilio di altre associazioni e delle scuole, le finalità che s’intende perseguire sono varie :
- provare a definire la cronologia almeno delle Vicinanze accessibili e di maggior particolarità (in gran numero sono proprietà privata);
- favorire la conoscenza e/o la riscoperta del territorio (organizzando escursioni mirate nel Centro Storico), quindi prendere reale coscienza della ricchezza del patrimonio culturale della Tebaide tramite la ricostituzione di un senso di appartenenza, oltre alla formazione di relazioni sociali;
- recuperare e rifunzionalizzare le Vicinanze rispettandone la tipologia e la storia, analizzandone le criticità strutturali (molte sono in stato di degrado o coperte);
- inserire tali tipologie abitative, data la loro peculiarità, nei circuiti turistico – culturali;
- rendere le Vicinanze “accessibili” a tutti con la grafica virtuale;
- l’inclusione sociale (non a caso il Progetto in questione è stato presentato nella sede della Società Operaia di Mutuo Soccorso).
Considerando la complessità di uno studio sì fatto, esso è articolato in diverse fasi : 1) documentazione; 2) sopralluoghi; 3) elaborazione dei dati (raccolti effettuando un rilievo metrico con eventuale utilizzo del laser scanner); 4) infine la pubblicazione dei risultati di ricerca e delle linee guida per il recupero e la riqualificazione.
Tutto ciò sarà possibile approntando una serie di strumenti ad hoc, che vanno da la ricerca bibliografica – archivistica ed il rilievo fotografico dello stato dei luoghi, al rilevamento metrico (per determinare un’unità di misura e di datazione), passando per la compilazione di apposite schede di catalogazione ed analisi.
Sarà interessante inoltre confrontare le risultanze del lavoro col contenuto del vecchio Piano Particolareggiato del Centro Storico e del PUG di prossima approvazione.
Il Progetto vede coinvolti l’archeologa, nonché presidentessa dell’Archeogruppo, Maria Renzelo, gli architetti Clorinda Garrafa e Nicola Volpe, la dott.ssa Gabriella Mastrangelo, il dottore in ingegneria Angelo Notaristefano.
Ma cosa sono esattamente le Vicinanze? Per rispondere a questa domanda vengono in soccorso il Dizionario etimologico e grammaticale del dialetto parlato a Massafra di Roberto Caprara e in Massafra sotterranea di Cosimo Motolese : es. di architettura per sottrazione, le Vicinanze sono un complesso abitativo ipogeico costituito da un’apertura rettangolare o quadrata a pozzo, nelle cui pareti si aprono i vani per abitazioni, attività produttive, ricovero di animali (secondo un modello importato dall’Africa settentrionale nel V sec. d. C.). L’apertura, in pratica una trincea, è scavata nel tufo ed è profonda dai 3 ai 6 metri, sul cui fondo si accede attraverso una scalinata risparmiata dallo scavo (di solito sistemata sul lato sud) sull’esempio dei vici romani. La trincea diventava così una grande pertinenza comune in cui si incontravano gli abitanti della Vicinanza medesima, e trattandosi di una struttura che si confaceva all’estesa famiglia di stampo longobardo, le pareti da scavare (in gergo <<zoccare>>) venivano spesso lasciate in eredità dai padri ai figli perché potessero ricavarvi la propria casa futura. Sono poi frequenti i casi di Vicinanze sviluppate in estensione e profondità, anche su più livelli, così tanto da sconfinare in altre proprietà limitrofe. L’individuazione del punto di scavo avveniva tenendo conto dell’esposizione della zona, delle pendenze del terreno e delle specificità della roccia. Caratteristico è il capovento, ossia una frattura della roccia presente sul fondo della trincea nella quale si facevano defluire le acque piovane e quelle luride; nello spazio collettivo, inoltre, poteva trovarsi uno o più pozzi dell’acqua piovana con una o più pile, cioè delle vasche rettangolari ricavate da un blocco di roccia, che erano in comune e servivano per lavare la biancheria ed i cibi o per far abbeverare gli animali.
Se Matera è riuscita a valorizzare ciò che possiede non si vede il motivo per cui Massafra non possa fare altrettanto, consapevoli che gli studi sul rupestre e sugli elementi ipogei di cui ora la città lucana (prossima Capitale europea della Cultura) trae i benefici sono iniziati qui da noi.
Nicola Fabio Assi