Interventi di Roberto Caprara e Franco Dell’Aquila
1. L’organizzazione dello spazio negli insediamenti rupestri pugliesi.
Spazio naturale e spazio artificiale
Quando si procede anche ad una prima superficiale osservazione di un insediamento rupeatre, si nota la presenza rilevante di spazi naturali, spazi lasciati integri ove la natura è preponderante in tutte le sue forme. Il fondo delle forre dove scorre in continuità o ad intermittenza l’acqua piovana (fig. 1), pareti verticali (fig. 2), la presenza di grandi massi rocciosi sono alcune delle forme naturali lasciate integre nello spazio nsediamento si nota la presenza di spazi naturali, spazi lasciati integri ove la natura è preponderante in tdi un insediamento. Negli insediamenti rupestri gli spazi naturali sono generalmente di gran lunga superiori rispetto ad un insediamento costruito che, viceversa, utilizza intensamente, anche modificandoli, gli spazi naturali esistenti.
Gli spazi artificiali sono tutti quelli che hanno subito cambiamenti dovuti all’opera dell’uomo. Questi spazi aumentano in percentuale con l’aumentare della pressione antropica e del numero delle famiglie inserite in un insediamento.
Spazi pubblici e spazi privati
In un agglomerato urbano, anche di piccole dimensioni, lo spazio viene suddiviso in parti di spazio pubblico e spazio ad uso privato. Negli insediamenti rupestri, che sono generalmente agglomerati urbani, lo spazio viene suddiviso nella medesima manera.
Va premesso che, per i condizionamenti dettati dalla natura dei luoghi, quelli rupestri pugliesi sono villaggi lineari, come quelli subdiali detti “di strada”.
Lo spazio pubblico da prendere in considerazione va suddiviso, a sua volta, in esterno ed interno all’insediamento.
Gli spazi esterni all’insediamento
Lo spazio pubblico esterno comprendeva tutti i terreni boscosi, prativi ed umidi ove tutti potevano fare legna, pascolare e fare erba, raccogliere i prodotti del bosco e cacciare la selvaggina, attività che si consolidarono nei cosidetti usi civici[1]. In queste vaste estensioni chi aveva i mezzi economici e la forza lavoro necessaria, poteva delimitarne una parte. dopo aver chiesto il permesso alle autorità competenti (sotto i bizantini al catapano; nell’epoca normanna al feudatario).
Facevano parte dello spazio pubblico esterno anche le strade, i corsi d’acqua, i laghi, le saline, le sorgenti e le cisterne poste lungo le strade principali. Generalmente lo sfruttamento economico della pesca nei corsi d’acqua, nei laghi e nel mare era detenuto dall’amministrazione bizantina prima e dai feudatari poi, ed era oggetto di particolari concessioni a singoli soggetti o a comunità.
Anche il taglio degli alberi nei boschi, l’attività delle calcare, era governato dall’amministrazione bizantina passata poi ai feudatari.
Con il formarsi delle città l’organizzazione territoriale è frutto di collaborazione, non scevra di contrasti, tra l’Universitas, ossia l’organizzazione amministrativa degli abitanti, e l’autorità catapanale bizantina dapprima, poi i feudatari ed, infine, i proprietari privati (detti particolari in epoca bizantina), generalmente tutori dei loro interessi, sovente a scapito di quelli generali.
Usi particolari degli spazi esterni
Una particolare situazione organizzativa territoriale era determinata, soprattutto nel Regno di Napoli, dall’allevamento che utilizzava l’antichissimo sistema della transumanza[2], ossia la migrazione stagionale di grandi greggi e mandrie da territori dell’interno, generalmente montani, verso territori costieri e viceversa. Conosciamo insediamenti rupestri posti lungo le strade della transumanza dedicati ad ospitare temporaneamente per i pernottamenti pastori e greggi (fig. 3).
Economicamente la transumanza era voluta ed appoggiata dalle autorità statali e feudali in quanto apportatrice di denaro immediato, senza rischi e spese, e, di contro, era avversata dai privati in quanto limitava l’opera di dissodamento e la privatizzazione dei terreni oltre a recare danni ai terreni coltivati. Inoltre limitava la possibilità di aumentare il numero degli animali allevati dai locali.
Glt spazi pubblici interni
Ma negli insediamenti vi erano spazi pubblici interni.
Appartenevano a questo gruppo i tracciati viari e le piste, i corsi d’acqua anche temporanei, le scale d’accesso (fig. 4), gli spazi davanti alle chiese, spiazzi alberati utlizzati per socializzare, le aree cimiteriali, lo spazio ove erano la sorgente o le cisterne cumuni, aree destinate ad attività lavorative (ad esempio le aie per ventilare granaglie e legumi).
Trasformazione dello spazio pubblico
Nello spazio pubblico, ossia ad uso collettivo, veniva delimata una zona per l’inserimento di una nuova famiglia, quando se ne presentava l’esigenza. Questo nuovo spazio privato veniva delimitato da recinzioni e nel suo seno venivano scavate una nuova abitazione ed i suoi annessi, cioè i locali per uso di deposito, per uso lavorativo e/o per stalla.
Si formava così lo spazio privato, ossia utilizzato da una sola famiglia.
Lo spazio privato
Lo spazio privato era costituito da una parte a cielo aperto e un’altra al chiuso formata dalle unità rupestri scavate nella roccia. Lo sviluppo della proprietà posta sottoterra implicava un’attenzione particolare per non ledere i diritti dei vicini posti sia sulla destra che sulla sinistra ma anche in senso verticale ossia sopra o sotto ciascun complesso abitativo. In effetti ogni intervento operava tridimensionalmente e le opere esistenti o da progettate si sviluppavano proprio nelle tre dimensioni
Questa particolarità, che permetteva la coesistenza di un proprietario che possedeva lo spazio interno posto sopra un’unità rupestre mentre un altro era proprietario dell’unità rupestre soprastante, poneva precisi limiti al diritto di effettuare nuove escavazioni non soltanto per ampliamento in senso orizzontale della propria grotta, ma soprattutto in senso verticale.
Si pensi ad una abitazione rupestre, sviluppata in senso orizzontale, avente una fovea con sviluppo verticale posta nel pavimento dell’abitazione, le cui dimensioni non potevano eccedere quelle consentite dal rispetto della copertura dell’abitazione sottostante (fig. 5).
Purtroppo, in epoca medievale, con l’aumentare della popolazione residente e del fabbisogno di nuove unità rupestri accadde talvolta che, durante lo scavo di una nuova unità, si scavò tanto da assottigliare il setto di roccia sino a sfondarlo, mettendo in contatto diretto due abitazioni rupestri contigue.
Le leggi, l’usucapione e il riuso degli spazi privati
In Puglia sin dall’altomedioevo viene adottato il sistema legislativo longobardo con le aggiunte di Rotari. Queste leggi avevano particolare importanza per quanto riguarda le proprietà abbandonate, perché prevedevano che i beni privati abbandonati, sia in caso di allontanamento oltre tre anni senza un preciso atto, sia nel caso di morte senza eredi del proprietario, andavano a disposizione dell’amministrazione catapanale, in epoca bizantina, o del feudatario, in epoca normanna. La maggior parte dei latifondi abbandonati, soprattutto a causa delle ricorrenti crisi demografiche, passarono così alla mano pubblica o ai feudatari che ne disposero liberamente dandoli, ad esempio, in dono a monasteri.
Questa legge, però, pare non venisse applicata per piccolissime proprietà, come le unità abbandonate in un insediamento rupestre in quanto si nota il sistematico riutilizzo del preesistente da parte degli stessi abitanti dell’insediamento.
Inoltre, per quel che riguarda particolarmente l’appropriazione da parte di terzi di unità rupestri abbandonate, va considerata la forza dell’usucapione come prevedeva la stessa legge longobarda. Chi disponeva di un bene da almeno quarant’anni ne acquisiva la piena proprietà, e, in caso di contestazioni, bastava che presentasse davanti ai giudici dei testimoni, al fine di affermare il continuo possesso per tale periodo, perché la proprietà gli fosse riconosciuta.
2. Spazio e funzione.
Già in altro luogo ci siamo interessati della funzione dell’insediamento in quanto direttamente collegato alle esigenze degli abitanti, e abbiamo distinto villaggi in cui era prevalente l’attività cerealicola da quelli in cui era prevalente l’olivicoltura, in cui si rinvengono frantoi oleari, da quelli ancora a prevalente attività pastorale[3].
La diversità delle esigenze degli abitanti comporta un diverso numero di unità pro famiglia. Possiamo così sintetizzare le diversità delle esigenze:
- famiglia base:
- i. abitazione
- ii. conservazione alimenti
- iii. conservazione legna
- iv. deposito attrezzi lavoro casa
- agricoltore:
- i. deposito attrezzi
- ii. deposito prodotti
- iii. ricovero animali
- pastore:
- i. ricovero animali
- ii. deposito prodotti.
Apparee chiaro che l’attività del pastore richiede un minor spazio ed un limitato numero di unità rupestri. Per il ricovero degli animali, talora vengono riutilizzati ambienti già esistenti ed abbandonati, ma spesso basta relizzare un muretto a secco davanti all’ingresso di una unità rupestre per rendere funzionale il luogo quale ricovero per pecore o capre.
Per gli agricoltori si ha l’esigenza di conservare i prodotti dei raccolti che possono essere solidi o liquidi. I prodotti solidi, come i cereali, venivano conservati nelle fovee (fig. 6), mentre i liquidi in vasi o botti. In breve gli agricoltori hanno bisogno di un maggior spazio ed un maggior numero di unità rupestri a loro disposizione.
La ricerca archeologica permette di conoscere la funzione degli insediamenti ed approssimativamente l’estensione dei terreni coltivati.
3. Spazio abitativo.
Lo spazio abitativo, nelle escavazioni medievali, presenta le stesse caratteristiche generali anche nelle varie tipologia di abitazioni rupestri.
Accanto all’unico ingresso e fonte di luce è situata la cucina legata alle problematiche per far fuoriuscire il fumo, che nelle abitazioni più antiche si risolvono con una feritoia nella parete esterna (fig. 7),. Lo spazio dedicato alla cucina è sempre estremamente ridotto all’esenziale anche nelle forme più evolute e più tarde caratterizzate dalla presenza del camino (fig. 8),.
La zona più interna ospita lo spazio notte con letti ricavati in nicchioni (fig. 9) o con letti lignei appoggiati direttamente alle pareti (fig. 10). Accanto viene riservato uno spazio, spesso una nicchia, dedicato a deposito di oggetti.
Spesso, nella parete di fronte alla cucina o nelle sue vicinanze, è ricavata una nicchia per ospitare contenitori ceramici per acqua, vino ed altro (fig. 11). Nel pavimento, talvolta sotto un letto, può esserci una fovea per la conservazione di granaglie (fig. 12). Molte abitazioni, ricavate in spalti verticali, hanno una nicchia laboratorio (fig. 12) ricavata nella parete opposta all’ingresso, spazio dedicato ad ospitare la macina a mano (fig. 14), per l’operazione giornaliera della molitura che richiedeva tempo e luce per l’ottenimento di sfarinati per la preparazione del pane o per pappe e semolati.
Completavano l’arredo abitativo un pozzetto a perdere accanto all’ingresso e una serie di caviglie incavate nel soffitto per appendere oggetti utilizzando così anche lo spazio del soffitto. Raramente una trave era posta sempre sotto il soffitto al fine di appendere oggetti.
4. Spazio ed intimità.
La ridotta superfice interna degli spazi architettonici adibiti ad abitazione induce a pensare ai conseguenti problemi di intimità familiare e soprattutto di privacy personale di cui, oggi, non possiamo fare a meno.
Nelle abitazioni più evolute, come quelle a doppio arco e pilastro centrale, la zona notta era separata ds quella giorno mediante un setto di legno o di canne o più semplicemente con una cortina di stoffa.
La generalmente modesta dimensione delle abitazioni ove tutto si riduceva ad un unico ambiente nel quale si dormiva, si preparava il cibo, si conservava i beni della famiglia, costringeva a convivere strettamente uniti in tutti i momenti della vita quotidiana.
Però proprio le esigenze della vita quotidiana portavano non solo ad intrattenersi nell’abitazione ma ad occupare anche spazi esterni. Infatti, all’esterno si ponevano ceste e contenitori per asciugare e o esiccare prodotti, all’esterno si svolgevano le attività più bisognose di luce, all’esterno si aggiravano gli animali domestici e le galline, si svolgevano lavori manuali, ecc.
La vita all’aperto portava ad un maggiore coinvolgimento sociale con gli altri abitanti, in una stretta interdipendenza legata sia alla stretta parentela sia allo spirito di clan familiare o plurifamiliare, primo passo alla base dell’organizzazione sociale dei Comuni, noti nel medioevo meridionale con il termine di Università.
L’indice dello spazio interno tra abitazioni rupestri viene dato dalla distanza tra ingressi. Per il periodo basso medievale questa distanza è in media di m. 10-12 quando si tratta di escavazioni poste alla periferia dell’insediamento (fig. 15),. Tale distanza diminuisce quando l’escavazione è avvenuta vicino ad altra preesistente o eseguita per la stessa famiglia (fig. 16),. Per il periodo alto medievale tale distanza era inferiore, forse per accentrare le escavazioni tra loro o per minore esigenza di spazi a causa di una maggiore semplicità di vita.
5. Concentrazione delle unità
Nell’esaminare l’organizzazione dello spazio in un insediamento rupestre risaltano luoghi ove si concentrano un gran numero di unità rupestri contro altri luoghi ove si nota un forte diradamento delle unità.
Si nota una concentrazione di unità ricavate, addossate le une sulle altre, intorno ad un nucleo preesistente formante l’origine dello stesso insediamento. Facilitano questa concentrazione le condizioni ambientali (morfologiche e geofisiche).
Generalmente si ha una sequenza di unità seguendo i gradoni ove corre una stradina più o meno larga e nella parete rocciosa si aprono le varie unità disposte in fila.
Il diradamento è dovuto alle avverse condizioni morfologiche e geofisiche. Venivano tralasciate quelle aree ove era evidente uno strato roccioso di calcarenite a grana grossa o poco cementata in quanto, per esperienza si sapeva che quella roccia si sbriciola col tempo, quindi, non è idonea perché non duratura per un’abitazione. Si evitavano le aree ove la roccia presentava una forte fratturazione in quanto pericolosa e soggetta a crolli.
Ma l’interdizione di scavo di abitazioni era dettata anche da altre condizioni, prima fra tutte la sacralità del luogo. Ad esempio, la presenza di una sorgente comporta la conservazione del luogo per cui intorno ad essa si lascia una fascia di rispetto. Ugualmente la presenza di una chiesa richiede un’areale di rispetto e così le aree cimiteriali.
6. Evoluzioni dello spazio privato esterno.
In epoca classica ed altomedievale prevale una netta divisione tra spazio interno, privato, e spazio esterno, comune con gli altri abitanti dell’insediamento. Le abitazioni presentano l’ingresso posto lungo una pista, che è spazio comune, senza possibilità di attività da svolgere all’esterno, se non in quello spazio comune e a costo di limitarne l’uso altrui.
Intorno al IX-X secolo inizia a prevalere l’esigenza di privatizzare parte dello spazio esterno, quello posto davanti all’ingresso dello spazio privato interno. Si inizia con la creazione di piccoli atri o dromoi d’ingresso, spazio di esclusivo uso di coloro che abitano nell’annessa unità rupestre. Il dromos, con il passare del tempo, si ingrandisce sempre di più tanto che in esso vengono ricavati sedili, nicchie, cisterne, a servizio esclusivo del proprietario dell’unità rupestre. Si giunge alla creazione di recinti esterni inglobanti più ingressi di unità rupestri utilizzati però da una sola famiglia (fig. 17).
I recinti esterni di grandi dimensioni sono noti in vari insediamenti dove i terrazzamenti fluviali preistorici sono molto ampi, come a Ginosa ove prendono il nome di cinti (fig. 18).
A Matera il dromos d’ingresso di grandi dimensioni diventa convicinio con la differenza che le unità ivi presenti sono di diversi proprietari: diventa così uno spazio comune a servizio esclusivo degli abitanti del luogo, anche non legati da vincoli familiari.
Nel vasto complesso ipogeico che costituiva la Massafra tardoantica, le vicinanze erano costituite da un’area discoverta quadrata o rettangolare, scavata nel piano roccioso (fig. 19) sino alla profondità di tre o quattro metri, nelle cui pareti artificiali si aprivano da tre ad undici unità, generalmente appartenenti ad un’unica faniglia. Si tenga presente che la familia tardoromana comprendeva anche i servi, e questo spiega le dimensioni di alcune vicinanze particolarmente ampie. Le unità avevano varia destinazione: abitazione, deposito, laboratorio, ricovero per animali.
Nell’area a cielo aperto, nella quale si svolgevano molte attività quotidiane, erano ubicate la cisterna per la raccolta dell’acqua piovana, una foggia per la dispersione delle acque usate ed una pila litica usata per il bucato.
7. Esame degli spazi nell’insediamento rupestre della Madonna della Scala a Massafra (TA).
Sin qui abbiamo parlato in generale di insediamenti rupestri ed ipogei. Ora, brevemente, tratteremo del villaggio di Gravina Madonna della Scala[4].
Gli spazi naturali
.
Il fondo della gravina della Madonna della Scala ha subito un gravissimo danno dovuto ad un’alluvione nel 2005. Possiediamo delle fotografie (fig. 20), e una pianta dell’insediamento che mostrano come era la gravina prima di tale evento, determinato come sempre accade, dalla insipienza umana.
Il fondo della gravina era formato da serie di depositi di materiale accomulatisi nel giro di 6-7000 anni di utilizzazione del luogo sia in modo occasionale sia in modo stabile. Infatti le acque alluvionali hanno messo in luce sui fianchi della gravina la stratificazione formatasi in questo lungo arco di tempo con spessore a partire da 5 metri sino a giungere ad 8-10 metri. Quindi sino al 2005 le acque meteoriche scorrevano occasionalmente sul fondo della forra, ma la folta vegetazione e la natura del suolo frenavano l’irruenza facendola scorrere senza asportare materiale ma depositando nuovi depositi limosi. Questo stato naturale ha permesso la formazione di una coltre vegetale (fig. 21), anche arbustiva con formazione di un bosco a pineta verso monte dell’insediamento, con vegetazione mista con alberi di Giuda, allori, querce, noci, bagolari ed altre specie generalmente presenti nell’arco dell’insediamento rupestre.
Aree degli spazi.
Dopo aver eseguito i rilievi delle singole unità, siamo in grado di identificare le unità per utilizzo, per epoche di escavazione, in base alla tipologia ed in base alla successione cronologica dei singoli elementi presenti nelle unità di un insediamento rupestre. Inoltre possiamo avere un ulteriore elemento d’analisi delle stesse unità rupestri con il calcolo delle loro aree di superfice. Elemento utile per comprendere le necessità del sistema di vita prevalentemente praticato.
Per l’insediamento della Madonna della Scala a Massafra sono state estrapolate quelle che davano la possibilità di calcolare l’area di superfice interna eliminando quelle unità rimaste per varie cause trasformate dalla loro forma originaria o non più leggibili.
Per il periodo medievale sono state selezionate 20 unità abitative.
Tabella abitazioni.
unità | mq. | unità | mq. |
34b | 9,24 | 95 | 17,4 |
34c | 27,14 | 96a | 8,5 |
34e | 24,07 | 96b | 22,09 |
39 | 16,32 | 98 | 12,04 |
75 | 24,96 | 108 | 9,18 |
76 | 14,4 | 109 | 21,46 |
77 | 10,36 | 111 | 23,745 |
78 | 14,82 | 113a | 27,52 |
79 | 14,43 | 129c | 16,34 |
93 | 11,4 | 148 | 17,56 |
Tabella depositi.
unità | mq. |
80 | 2,32 |
97 | 13,44 |
103 | 11,62 |
104 | 8 |
105 | 10,15 |
106 | 7,48 |
107 | 13,23 |
112 | 8,64 |
129a | 14,12 |
Tabella tombe.
unità | mq. |
81 | 2,24 |
103 | 8,4 |
118 | 10,5 |
Le superfici delle abitazioni.
Le abitazioni, comprensive dei particolari architettonici come cucine, zona letti, nicchie laboratorio, nicchie per contenitori ecc., hanno una superfice che va da un minimo di mq. 9,18 (unità 108) ad un massimo di 27,52 (unità 111) con una media di 17,15. La differenza tra minima e massima è dovuta sia all’epoca di escavazione sia alla tipologia architettonica di riferimento, sia al numero dei componenti la famiglia. Generalmente sono più ridotte le abitazioni scavate nel periodo VIII-XI sec. e maggiori quelle scavate nel periodo XI-XIV secolo; sono più piccole quelle abitazioni ricalcanti la tipologia “a trullo”, più grandi quelle con “doppio arco” (fig. 22) aventi pianta rettangolare.
La ridotta superfice delle abitazioni porta a dedurre che in esse si svolgevano solo attività comuni della vita quotidiana mentre quelle lavorative venivano svolte altrove, negli annessi o all’aperto. Si pensi al lavoro di tessitura con telai, alla filatura, all’intreccio di fibre vegetali per ceste, ecc., lavori che richiedono spazio dedicato a queste attività e al depositi di atrezzi e materie prime da utilizzare. Lavori svolti nelle unità “deposito e laboratori” poste nelle vicinanze delle stesse abitazioni.
Le superfici dei depositi.
I depositi presentano una superfice ridotta rispetto alle abitazioni con minimo mq. 2,35 (unità 80) e massimo 14,12 (unità 129a) con media di 9,88. Le loro dimenzioni erano determinate dalla quantità di oggetti o prodotti da stoccare.
Le superfici delle tombe.
Infine, concludiamo con le tombe preclassiche e classiche riutilizzate nel corso del medioevo aventi una superfice di un minimo di mq. 2,2 (piccole tombe a camera, unità 81) sino ad un massimo di mq. 10,5 (tombe a forno familiari, unità 118).
Superfici delle chiese.
Le superfici interne delle chiese possono indicare il numero delle persone che le frequentavano, ed essere un indicatore indiretto della consistenza della popolazione del villaggio. Per questo è utile confrontare le superfici delle chiese di un insediamento ed anche confrontarle con chiese di altri insediamenti.
Per le chiese si è tenuto conto solo della superfice dell’aula escludendo la zona riservata al sacerdote: il presbiterio.
Insediamento Madonna della Scala:
a. Unità 47a 26,04 mq.
b. cripta inferiore 29,06 mq.
c. Buona Nuova 32,00 mq.
Altre chiese rupestri del territorio di Massafra:
Trovanza 2,59 mq.
Panareddozza I 35,4 mq. (prima fase)
Madonna delle Rose 35mq. Nartece 24,2 mq.
Pozzo Carucci 10,82mq.
Santa Croce 38,08mq.
S. Angelo a Torella 50,22mq.
Famosa 28,35mq.
Da questi dati si può rilevare che le chiese più antiche sono di dimensioni ridotte (vedi 47a e Pozzo Carucci, altomedievali), che le chiese del XIII-XIV secolo hanno dimensioni più vaste (vedi Panaredozza e S. Angelo di Torella), le altre, di datazione intermedia, sono poste in posizione centrale con le dimensioni che vanno sempre di più aumentando e, se notiamo l’effetto di grandiosità dovuta all’altezza, va aumentando nel tempo anche il senso dello spazio volumetrico (vedi Buona Nuova).
ILLUSTRAZIONI
1) Foto del fondo di una gravina, magari con acqua che scorre.
2) Foto di una parete verticale senza grotte
3) Un insediamento temporaneo per la transumanza (vedi tu. Ne avrai certamente)
4) Foto di una scala d’accesso, Ne abbiamo una bella per l’accesso a Petruscio.
5) Sezione sui sassi si Matera che ti allego.
6) Foto di una fovea.
7) Cucina con feritoia nella parete per lo sfogo del fumo.
8) Cucina con camino.
9) Nicchione-alcova per letti
10) Letti lignei a graticcio (disegno)
11) Nicchia.deposito
12) Disegno di sezione di una fovea.
13) Nicchia laboratorio.
14) Macina a mano
15) Foto di abitaziani periferiche rade e distanziate
16) Foto di abitazioni strettamente concentrate
17) Recinto con più ingressi (disegno di Giuseppe)
18) Foto di cinti di Ginosa
19) Foto di una “vicinanza” di Massafra e/o pianta che ti allego.
20) Foto della Gravina prima dell’alluvione.
21) Foto della vegetazione nella Gravina prima dell’alluvione
22) Foto di una abitazione “con doppio arco”
[1] Gli studiosi di diritto discutono ancora sulla origine degli usi civici se essa sia da ricercare nel diritto romano o se, invece, sia la reazione alla situazione di decadimento economico e sociale determinatasi a seguito della collasso dell’Impero sul finire del V secolo o se, infine, sia effetto della concezione collettivistica della proprietà, propria del diritto longobardo.
[2] Molte delle tradizionali vie della transumanza, i “tratturi”, si fanno risalire all’età del Bronzo.
[3] R. Caprara, F. dell’Aquila, Note sull’organizzazione urbanistica degli insediamenti rupestri. Tra Puglia e Mediterraneo, in Insediamenti rpestri di età medievale: abitazioni e strutture produttive. Atti del Convegno di studio, Grottaferrata, 27-29 ottobre 2005, Spoleto 2008, pp. 181-205 + 6 tavv. Si vedano, in particolare, le pp. 190-193.
[4] Una monografia completa sul villaggio è quella di R. Caprara, F. dell’Aquila, Il villaggio rupestre della gravina “Madonna della Scala” a Massafra (Taranto), Massafra 2008.