Assemblea dell’associazione culturale Terra di Puglia, Chiesa di San Toma – Massafra 10/10/2009

di Giulio Mastrangelo

Cari Presidente e soci tutti,

nel ringraziarvi per il gradito invito, voglio dirvi che per me è un onore essere socio onorario di Terra di Puglia, pur rivendicando la mia appartenenza all’Archeogruppo e al GAL delle Gravine. Terra di Puglia e l’Archeogruppo sono associazioni culturali molto simili, anche se i loro fini statutari non coincidono. Terra di Puglia, come ho detto più volte, cerca di occupare – e lo fa egregiamente – lo spazio organizzativo che era della vecchia e gloriosa Pro Loco, che oggi a Massafra manca del tutto. Insieme abbiamo agito per consigliare e mettere in guardia chi – purtroppo – con troppa superficialità si accingeva a “restaurare” le nostre chiese rupestri. Non siamo stati ascoltati e le conseguenze sono ben note. Di fronte al macello che hanno combinato ce ne dovevamo stare zitti? Sarebbe stata la soluzione più facile. Dio solo sa quanto avrei preferito tessere le lodi dei restauratori ed elogiare chi amministra la cosa pubblica, piuttosto che scrivere con sofferenza quella lettera. Non siamo animati né da sete di condanna né da sete di vendetta. Vogliamo solo che si prenda coscienza degli errori commessi e non si continui a percorrere una strada sbagliata foriera di altri danni al patrimonio rupestre. Ci chiediamo fino a quando Santa Lucia resterà chiusa (in eterno?). Abbiamo anche agito insieme per la messa in sicurezza della grotta messapica di Corvo la cui iscrizione rischiava di essere distrutta. C’è un grande campo di azioni che non ha senso fare da soli, dove occorre essere in tanti. L’area archeologica davanti a S. Agostino. Come ispettore onorario ho già provato a mettere insieme tutte le associazioni culturali e ambientaliste di Massafra. Occorre riprendere quell’azione e incalzare sempre più l’Amministrazione Comunale. Altro problema. È noto che il Museo storico e archeologico dell’olio e del vino è chiuso. Anche qui, dobbiamo sederci a tavolino e studiare una soluzione. Massafra ha bisogno di spazi museali ed espositivi enormi. Lo spirito che mi anima come operatore culturale, è quello di unire il mondo della cultura e non già di dividerlo. Dobbiamo essere uno come uno è il nostro popolo. Chi ha responsabilità di governo non può dividere le associazioni in figli e figliastri. Non esiste una Cultura di maggioranza e una di minoranza, come non esiste una cultura di destra e una cultura di sinistra. Chi rifiuta il dialogo e di confrontarsi e vede nemici dappertutto, non vuole il bene di Massafra, non vuole che Massafra torni a primeggiare in campo provinciale, regionale e nazionale. Pertanto, come un fratello maggiore, mi sento di raccomandarvi di non abbassare mai la guardia e di non posporre la battaglia per la tutela e la conservazione del nostro patrimonio storico-archeologico a nessun altro tipo di interessi meno nobili. È possibile – e lo abbiamo sperimentato – realizzare ambiziosi progetti di tutela e valorizzazione (come il restauro di questa chiesa) o di sviluppo integrato del territorio (come il progetto Leder II), anche senza dipendere dalla politica ma dando indicazioni progettuali alla politica. Difendete come un bene supremo la vostra autonomia di pensiero e di azione e soprattutto la vostra libertà. Occorre investire nel nostro futuro, con una programmazione a media e lunga scadenza, senza perdersi dietro appetitosi business che poi sono appetitosi solo all’apparenza. Se San Toma oggi è ritornata agibile e se è sotto gli occhi di tutti il migliore restauro di chiese effettuato negli ultimi 50 anni a Massafra, questo lo si deve all’Archeogruppo, che mi onoro di aver presieduto per 18 anni, e a un piccolo gruppo di volontari. Senza una lira di denaro pubblico. Circa i problemi della chiesa, ricordo che già Caprara 1985 avvertiva la necessità di effettuare qui “alcuni lavori atti a contrastare l’umidità ascendente che interessa, alla base, le murature perimetrali[1]. Nel maggio del 1999 furono realizzati i primi lavori di ristrutturazione della chiesa, in particolare della volta in tufo col rifacimento dell’intonaco sulle pareti laterali. Sennonché, a causa dell’umidità ascendente che aveva subito aggredito i muri appena intonacati, l’Arciprete don Sario Chiarelli chiese la collaborazione dell’Archeogruppo e, su consiglio del prof. Roberto Caprara, tra fine febbraio e inizio marzo 2000, procedemmo alla rimozione della pavimentazione esistente e dello strato di interro. Un diario di scavo e numerose foto documentano le fasi del lavoro e dei ritrovamenti. Durante tali lavori, infatti, venne alla luce la cripta inferiore (di cui si ignorava l’esistenza) e alcune tombe con deposizioni plurime, usate come ossario. L’interno della chiesa, prima dell’inizio dei lavori, presentava alcuni elementi di arredo tra i quali un antico altare decorato, contenuto in una teca in legno pure decorata, che reca la data del 10 maggio 1707: anche questo arredo è stato restaurato a cura di don Sario ed è attualmente sistemato nella sacrestia della Chiesa Collegiata. Le prime fasi del lavoro si rivelarono interessanti dal momento che in seguito alla rimozione dei mattoni vennero alla luce alcune decorazioni a fresco sulla parete frontale tra il presbiterio e il piano di calpestio, databili al 1300, tre gradini alla base del presbiterio e il basamento di una colonna con tracce di intonaco affrescato. Il secondo giorno di lavoro fu rinvenuta una sepoltura o di un ecclesiastico o di un personaggio illustre, come lasciava pensare lo scheletro in posizione privilegiata, ai piedi dell’altare, rivolto verso l’ingresso della chiesa. Accanto a questa prima sepoltura se ne rinvennero altre due, contenenti numerose ossa di diversi individui sia adulti che neonati. Nei giorni successivi furono riscontrate altre sette sepolture scavate nella roccia e usate come ossario. Come abbiamo appreso dagli abitanti del vicinato, durante i lavori di scavo della fognatura furono rinvenute sulla strada diverse tombe. È ragionevole ritenere che il sepolcreto vero e proprio fosse ubicato all’esterno della chiesa e che all’interno di essa venissero inumate solo le ossa dei defunti a seguito della riesumazione, dopo un certo numero di anni. Notizie più precise sugli individui sepolti in San Toma o nelle immediate vicinanze potranno forse venire dallo studio dei libri parrocchiali dei morti. Le fosse sono state utilizzate per un lungo arco di tempo, almeno sino alla metà dell’800, cioè sino all’istituzione del Cimitero comunale. Durante la rimozione della pavimentazione nell’angolo sud-ovest si verificò un crollo che consentì la scoperta di un pozzo quasi colmo di ossa. Questo pozzo, con apertura rettangolare, ha forma conica e una profondità di circa tre metri. Furono recuperati numerosi frammenti in ceramica risalenti ad epoche diverse che, raccolti e catalogati, sono in attesa di essere sottoposti ad uno studio più approfondito. Altri affreschi di fine ‘500 sono venuti alla luce sulla parete dell’abside sotto strati di calce ma abbisognano di restauro. Il nuovo pavimento, su progetto dell’arch. C. D. Simone, socio dell’Archeogruppo, redatto su incarico dell’Arciprete don Sario Chiarelli, ha struttura in acciaio, piano di calpestio in legno con alcune lastre di cristallo che permettono di vedere il piano originario e le dieci fosse di sepoltura. È un intervento che lascia inalterato il piano di calpestio originario e che si può smontare quando si vuole. Un intervento che lascia stupiti tutti i visitatori e che ha meritato le lodi dell’Arch. Giambattista De Tommasi, già Soprintendente ai Beni Architettonici, storici e Artistici della Puglia, che visitò questa chiesa coi soci della Fondazione Castelli di Puglia, tre anni orsono. Alla fine dei lavori, ricordo che fu affisso in chiesa un volantino che ringraziava i benefattori dei lavori eseguiti a San Toma e cioè 1) l’Arciprete don Sario Chiarelli 2) l’Archeogruppo “E. Jacovelli” 3) il prof. Roberto Caprara, archeologo 4) l’architetto Cosimo
Damiano Simone 5) i signori Fernando Galatone e Giovanni Spada 6) il sig. Giovanni Albanese (donazione legno parquet) 7) il sig. Antonio Carriero (donazione sedie) 8) il sig. Nicola Colucci (ditta Eurotim) (donazione impianto elettrico) 9) il sig. Scarano Cosimo (collaborazione fabbro) 10) il sig. Martino Oliva (donazione lampadari) 11) gli abitanti del rione San Toma. Questa piccola chiesa, dedicata all’apostolo San Tommaso, ritornata agibile nel 2005, ha una lunga storia che merita di essere raccontata. Funzionalmente collegata alle antiche mura e ai Mulini baronali, ha avuto una prefase rupestre (di cui sono leggibili resti di affresco sotto il presbiterio) prima dell’attuale costruzione in muratura, che depone per una cronologia altomedievale, se non tardo antica, della cappella primitiva. San Toma figura tra le nove chiese di Massafra (menzionate nel Codex Rationes Collectoriae Regni Neapolitani) che nel 1324 pagavano la decima alla Santa Sede. È menzionata, inoltre, in un documento della seconda metà del ‘500, la bolla del 28 giugno 1583, con cui Papa Gregorio XIII, su istanza dell’Arciprete e del Capitolo di Massafra e su proposta di mons. Jacopo Micheli, Vescovo di Mottola, dispone l’unione, l’annessione e l’incorporazione di vari benefici semplici e di legati pii relativi a varie chiese, tra cui quella di San Toma, a favore della mensa capitolare. In detto documento la chiesa di San Toma risulta associata al fondo beneficiale detto ‘de Scannajudei’, beneficio da cui si ricavava un reddito annuo ammontante a quaranta ducati d’oro dell’epoca. In documenti posteriori il nome del fondo cambia in Scannaciudia o Scannagiudia. Il toponimo figura nel Catasto Onciario. Tra i beni posseduti dal canonico don Alfonso Ciura, figurano alcune terre in ‘Scannaciudia’[2]. È noto che tra ‘700 e ‘800 i nomi delle antiche contrade sono cambiati in quanto sono stati sostituiti da quelli dei nuovi proprietari terrieri: ciò può essere avvenuto anche nel nostro caso per le terre del canonico Ciura. Poiché i terreni della famiglia Ciura finirono coll’assumere il nome di masseria Ciura, il podere in Scannaciudia potrebbe ora essere compreso tra i terreni di detta Masseria. Ma il toponimo ‘Scannajudei’ o ‘Scannaciudia’ ci pone un interrogativo: potrebbe essere indice dell’esistenza di una piccola comunità ebraica a Massafra nel ‘400? Alcuni documenti del XV secolo, infatti, provano il via vai di diversi ebrei a Massafra per il disbrigo di loro affari, in specie di mercanti e di medici[3]. Il prof. Cesare Colafemmina, ci segnala un primo documento del 30 aprile 1464, relativo ad alcuni ebrei (Struccu, Sabbatello e compagni) i quali scesero a un compromesso sulla somma dovuta alla Dogana di Taranto per le merci che portavano in quella città perché avevano minacciato che, in caso contrario, sarebbero andati a venderle a Massafra[4]; l’altro importante documento riportato dallo stesso Autore è un manoscritto di 198 fogli, contenente il Commento ai Salmi di David ben Josef Qimchi, finito di trascrivere nel castello di Massafra il 10 dicembre 1470 da un anonimo medico ebreo che si trovava ivi per curarvi il Capitano[5]. Come è noto ogni pio ebreo doveva trascrivere nella sua vita almeno un libro sacro. Tuttavia, nonostante l’autorità di detti documenti, l’Autore citato è cauto ed opina che la nostra città non sembra “per ora” poter essere inclusa nella ricca mappa degli insediamenti ebraici nella Puglia del XV secolo [6]. Nel Catasto Onciario 1749 il toponimo ‘San Toma’ si trova associato a vari appezzamenti di terra di proprietà del Capitolo di Massafra: terre in S. Toma (c.848 r.), terre per vigne alla Pezza di S. Toma (c.856), la pezza dell’Abbadia di S. Toma (c.856), terre alla Pezza di S. Toma (c.860). Detti terreni si dovrebbero trovare a Nord-Est di Massafra ove si trovava anche la masseria di San Toma alle zoppole nei pressi della Torretta. Ritengo, sull’autorevole opinione di Roberto Caprara, che la chiesa rupestre sia stata distrutta verso la fine del Trecento, quando si procedette alla costruzione delle mura civiche. In seguito, essendosi l’abitato espanso a Nord, ben oltre il Castello ed essendo venuta meno la funzione difensiva delle mura (inadeguate alla resistenza contro le armi da fuoco), la chiesa fu ricostruita in muratura alla fine del XVI secolo sullo stesso perimetro della chiesa rupestre, sfruttando come sacrestia una delle torri di difesa. Essa risulta officiata nuovamente il 23 gennaio 1606, quando viene visitata da Mons. Francesco Rossi, Vescovo di Mottola, nonché il 13 novembre 1649 in occasione della visita pastorale di Mons. Tommaso Aquino. Il 31 agosto 1727, il Capitolo concede in uso la chiesa di San Tomaso Apostolo a favore della Congregazione dei Villani, sotto il titolo di S. Maria della Purificazione, perché se ne serva come oratorio per le funzioni e gli esercizi spirituali: la Congrega assume a suo carico la manutenzione ordinaria e straordinaria della chiesa nonché l’obbligo di dotarla di tutto l’arredo sacro (calice, tovaglie ecc.)[7]. Questa circostanza ci induce a ritenere che l’affresco dell’incredulità di S. Tommaso, dipinto nel catino absidale e datato 1809, sia stato eseguito a cura e a spese di detta Confraternita.

[1] R. Caprara, “Censimento dei beni culturali esistenti nel centro storico di Massafra” cit., pag.57.

[2] Catasto Onciario 1749, in Ast., c.832.

[3] Vedi il pregevolissimo saggio di C. Colafemmina, Un copista ebreo a Massafra nel 1470, in Alètes, Miscellanea per i settant’anni di R. Caprara, Archeogruppo 2000, pagg.165-169;

[4] C. Colafemmina, Un copista ebreo a Massafra nel 1470, op. cit. pag.165.

[5] C. Colafemmina, Un copista ebreo a Massafra nel 1470, cit. pag.165.

[6] C. Colafemmina, Un copista ebreo a Massafra nel 1470, cit. pag.165.

[7] Archivio Capitolare Massafra, Vol. I, Libro I, Carte Varie, pp.80-84.



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