Gli usi civici a Massafra e Martina Franca, Giulio Mastrangelo

Questo intervento si occuperà delle vicende storiche relative agli usi civici sino alla emanazione della legge 6 agosto 1806, con cui fu formalmente abolita la feudalità, e alle pronunce della Suprema Commissione feudale che interessano sia Massafra che Martina.

Per le complesse questioni ancora aperte relative agli usi civici di Martina Franca rimando i cortesi ascoltatori ai pregevoli studi di M. Ancona (recenti vicende degli usi civici a Martina Franca, in R/UdP 1990 ) e di G. Liuzzi (la mappa topografica di Martina del 1787 e la secolare questione dei demani, in R/UdP 2008) .

Territorio, demani e usi civici nel regno di Napoli

Grazie alle civiltà succedutesi e sedimentatesi nel corso di millenni nel Regno di Napoli, nella nostra provincia vigeva una concezione di ‘territorio divergente rispetto a quella dominante in altri Stati.

Da noi la terra apparteneva alla Nazione (e non al re) in quanto era destinata funzionalmente a soddisfare le primarie esigenze di vita, cioè essenzialmente i bisogni agroalimentari, dei suoi abitanti[1]. Alla demanialità della terra erano connaturati i diritti di uso civico, grazie ai quali ogni cittadino, per il solo fatto di essere nativo di quel luogo,  poteva pascolare, acquare e far legna gratis sui terreni demaniali aperti.

Gli usi civici ricevono un forte impulso in età tardoantica per effetto della grande crisi sociale, politica e militare dell’Impero.

Le campagne, devastate dalla guerra greco – gotica, dalle pestilenze e dalle invasioni, spopolate e abbandonate dai proprietari, restano incolte e  improduttive[2] e tutti i terreni aperti offrono ai superstiti una riserva ove attingere il necessario per sopravvivere.

Fino a quando la densità abitativa di centri abitati come Massafra e Martina era  molto scarsa, gli usi civici e le promiscuità erano una risorsa per tutti gli abitanti e venivano esercitati pacificamente  non dando luogo ad alcuna controversia.

I problemi nascono col forte incremento demografico del ‘500 e con la naturale esigenza di mettere a coltura sempre nuovi e più estesi terreni agricoli.

Tali esigenze trovano una sponda anche a livello dottrinario in correnti ideologiche, liberalitarie e individualistiche, che orientano la legislazione dei vari Stati della penisola verso l’abolizione degli usi civici .

Proprio nel Regno di Napoli, re Ferdinando IV emana la prammatica XXVI del 23 febbraio 1792 che contiene ‘norme per la valutazione e l’affrancazione degli usi civici sui demani feudali, per la divisione dei demani e per lo scioglimento delle promiscuità‘  [3].

Alla fine del ‘600 si registrano i primi tentativi di impossessarsi con la forza dei terreni demaniali da parte di feudatari locali (vedi Duca di Martina) o del ceto borghese emergente e di impedire, sempre con la forza, l’esercizio degli usi civici sui terreni in regime di promiscuità.

La Foresta Tarantina e gli usi civici

Il paesaggio agrario tra Massafra e Martina (prima che il centro abitato di Martina sorgesse e fosse dotato di un proprio territorio) era rappresentato – in antico – da immense estensioni di terreni aperti di natura demaniale, in gran parte ricoperte da macchia e da bosco , che si estendevano subito a Nord della Serra di Santa Maria di Massafra e sino ai confini con Monopoli, Ostuni e Grottaglie.

Su questo immenso territorio esisteva un’antica istituzione giuridica, chiamata Foresta Tarantina o anche di Silva, Gualda o Gualdella, che compare in un elenco di beni di pertinenza regia del 1278 (A.V. Greco, p.45 R/UdP 1999).

La funzione della Foresta non era soltanto quella di garantire il pascolo per le aziende zootecniche regie (come la Regia Cavallerizza che nel ‘400 aveva sede  a Massafra) o per le massarie e aratie regie, bensì quella dell’approvvigionamento di legname per la costruzione di navi e di altre opere militari, così come avvenne nel 1279 quando il legname di Taranto fu utilizzato per la costruzione di una torre nel porto di Brindisi (A.V. Greco, p.45 R/UdP 1999).

Tuttavia in tale territorio la Corona, quando concedeva in feudo i demani, faceva sempre salvi a favore delle popolazioni ivi insediate i diritti di uso civico (senz’altro perchè preesistenti e quindi in ossequio a un’antica norma consuetudinaria).

Così avvenne sia col diploma di concessione a Oddone di Soliac nel 1268 dei feudi di Massafra, Castellaneta e Ginosa sia col diploma di investitura di Filippo I a principe di Taranto del 1294.

Anche con l’accordo del 27 marzo 1362 tra le Università di Taranto, Brindisi, Monopoli, Gioia, Matera. Venosa, Massafra. Mottola e Castellana si ribadì l’antico diritto dei cittadini di “pascolare, acquare e far legna gratuitamente nei boschi e nelle difese aperte del demanio[4] .

Gli  usi civici esercitati a Massafra e a Martina

Gli usi civici, attestati sia a Massafra che a Martina, rientrano nella categoria di quelli essenziali, cioè quelli il cui personale esercizio si riconosce necessario per i bisogni di vita delle popolazioni (come li definisce l’art. 4 della legge 1766 del 1927) e che consistono nel diritto di pascere e abbeverare il bestiame, di raccogliere legna per uso domestico o di personale lavoro.

Nelle due città, di storia e origini diverse, esistevano anche zone in regime di promiscuità (pineta litoranea tra Massafra e Palagiano, Bosco delle Pianelle tra Massafra e Martina, demani di Poltri, Santantuono o Gaulella tra Mottola e Martina) ove con gli abitanti naturali del luogo anche le popolazioni viciniori godevano del diritto di uso civico di immettere al pascolo  i propri animali.

Massa Afra (poi divenuta Massafra) deve il suo nome alla ‘Massa‘ in territorio di Taranto ove – tra V e VI secolo – è attestato l’insediamento di un gruppo di profughi Afri sfuggiti alle persecuzioni dei Vandali in Nord Africa.

Posta sull’antica via che da Oriente la collega a Taranto, Massafra deve la sua importanza proprio a questa strada di origine preclassica che scorreva incrociando il fondovalle delle Gravine.

Cresce di ruolo in epoca longobarda e già nel X secolo presenta una articolata struttura sociale, con un  Castellum, sede giudiziaria ove un Gastaldo amministra la giustizia, assistito da un collegio di nobiliores homines; Giudice con estesa competenza cui anche gli abitanti di Taranto ricorrono per chiedere giustizia.

Le fonti degli usi civici di Massafra

li usi civici di Massafra sono molto antichi e denotano la continuità del suo popolamento.

Oltre che nei citati documenti del 1268, 1294 e del 1362, essi vengono riconosciuti espressamente in alcune capitolazioni del XVI secolo conclusi tra il feudatario e la Università di Massafra.

Tali fonti hanno però carattere meramente ricognitivo e non già fondativo in quanto  il feudatario fu costretto a scendere a patti con la Universitas civium e a tollerare l’esercizio degli usi civici sulle terre feudali perchè essi erano già esistenti ed esercitati ab immemorabili, al solo fine di limitarne l’esercizio a suo favore.

Del 1561 è la Capitolazione tra il barone Francesco Pappacoda e l’Università di Massafra.

Pare che il Pappacoda conceda alla Università di Massafra di esercitare il pascolo sulla Difesa Serra del Fragno e sulla Difesa della Chiusura delle Olive, ma subito aggiunge “secondo anticamente li tenea, e si trova designata per lo pascolo”.       In effetti  il barone non concede nulla di cui l’Università non disponesse già.

Dal canto suo, l’Università di Massafra concede al Pappacoda la facoltà di  chiudere a difesa, cioè di recintare, i Parchi feudali.

Troviamo qui consacrata la deleteria tendenza dei baroni a paretare, cioè a chiudere a ‘difesa‘ i terreni aperti feudali. Tale pratica, già vietata dal re Roberto D’Angiò, era illegittima in quanto violava il principio, vigente nel diritto feudale napoletano, secondo il quale la qualità feudale attribuita a un fondo non mutava la natura intrinseca del territorio (demaniale) e non poteva ledere i diritti sociali gravanti su di esso.

Anche le Capitolazioni tra la baronessa Isabella Monsorio e la stessa Università di Massafra del 1591 confermano le precedenti convenzioni.

Basandosi su tali precedenti e considerando che le due Capitolazioni erano state eseguite pacificamente per due secoli e mezzo, anche dopo estinte le linee di Pappacoda e Monsorio, la Commissione feudale con la sentenza del 10 maggio 1810 n.35 dispone:

1° che all’Università e Cittadini di Massafra appartengono i pieni usi civici anche per commercio fra loro sopra i locali di Albaniello, Adogha, lo Parco di C ernera, lo Parco della Cinestra, lo Parco Nuovo, lo Parco di San Martino colla Mesola, e il suo distretto, ed il Parchitello di Pescorovolo, dinotati nelle antiche capitolazioni del 1561 e del 1591”.

Origine e progressiva crescita del territorio di Martina Franca

L’odierno territorio di Martina apparteneva un tempo a Taranto e, in minor misura, a Monopoli e a Ostuni.

Si trattava di un territorio in gran parte disabitato.

Martina, attestata per la prima volta nel 1260 come Castrum in territorio di Taranto, ottiene nel 1310 (coi diplomi del 12 e del 15 agosto 1310 di Filippo I d’Angiò principe di Taranto) lo status di Casale col nome di Franca Martina e quindi, nel 1317, la concessione di un’area circolare intorno al Casale del raggio di due miglia, chiamata Districtum; in prosieguo di tempo (1359) acquisisce terreni sempre più vasti sino all’attuale consistenza territoriale: si può dire che Martina Franca è un Comune a formazione progressiva.

Da notare che col diploma del 15 agosto 1310, fu concesso agli abitanti di Martina di poter pascolare, legnare e acquare nei territori di Ostuni, Mottola e Massafra “senza pagamento veruno per ragioni di affida o altra causa in perpetuo[5]

Il principe Roberto d’Angiò con privilegio del 15 aprile 1359 annette a Martina comprensori appartenenti da secoli a Monopoli, a Taranto e a Ostuni.

Non ci occuperemo della controversia giudiziaria che ne seguì.

Tale vertenza giudiziaria venne definita con l’accordo sottoscritto a Conversano il 21 luglio 1566 (ratificato dalla Regia Camera della Sommaria e corroborato di regio assenso) con cui sei Comuni (Monopoli, Castellana, Cisternino, Fasano, Locorotondo e Martina) stabilirono all’unanimità che tutte le recinzioni di terre, avvenute illegalmente negli ultimi decenni, dovevano essere abbattute al fine di rendere i fondi aperti e promiscui onde permettere il godimento degli usi civici da parte dei rispettivi abitanti, coll’eccezione delle menzane riservate ai padroni, che potevano paretarsi ma che non potevano superare il 10% dell’estensione delle masserie già appadronate abusivamente[6].

Nel demanio verso Taranto, invece, l’occupazione di terreni demaniali continuò anche dopo il 1571 nonostante la proibizione da parte del Sacro Regio Consiglio.

Tra i territori di Massafra, Martina e Taranto esisteva – all’interno della Foresta Tarantina – una vasta area chiamata bosco delle Chianelle (Pianelle): su tale zona esercitavano pacificamente gli usi civici tutte e tre le comunità fino a quando, alla fine del ‘600, il Duca di Martina prende di mira tale demanio e pretende di esercitarvi i diritti giurisdizionali e amministrativi (compresa la bagliva e la parata) anche a danno dei propri vassalli: vi pone dei guardiani armati, consentendo il pascolo solo per i suoi animali o per quelli di chi pagava la fida; imponendo una pena di 24 ducati per chi esercitava il pascolo abusivo.

La tendenza dei martinesi a colonizzare terreni demaniali gravati da usi civici o in regime di promiscuità, insediandosi prima con strutture precarie per l’allevamento di bovini o equini, poi con strutture di pietre a secco sempre più stabili fino a dare vita a vere e proprie masserie, interessò, oltre che il bosco delle Pianelle, i terreni demaniali della Murgia massafrese e di Vallenza in territorio di Massafra, confinanti col bosco delle Pianelle.

Ne nacquero diversi giudizi: l’uno promosso dall’Università di Massafra in Sacro Regio Consiglio chiedendo il riconoscimento e la tutela dei suoi diritti di comunità sulle Pianelle; l’altro promosso dall’Università di Martina nel 1725 in Regia Udienza a Lecce, lamentando il quotidiano taglio di alberi nelle Pianelle da parte di tarantini e massafresi. In tali giudizi Martina ebbe la meglio.

Nel 1740 il Sacro regio Consiglio emanò una provisione con la quale intimava a tarantini e massafresi che “non ardiscano andare a pascolare e legnare nelle Chianelle, come difesa dell’Università di Martina”. L’atto fu notificato soltanto alla Università di Martina, causando le lagnanze del duca il quale si dolse di non essere stato informato in prima persona, ribadendo che quella contrada non era demaniale dell’Università, ma del feudo e che la difesa dalla pretese dei massafresi era avvenuta con dispendio del Duca, mentre l’Università non avesse speso un obolo (Conte Marsi, 8/2).

Uno strascico di tali giudizi si ebbe anche davanti alla Suprema Commissione Feudale.

L’Università di Martina chiese, tra l’altro, di essere reintegrata nel diritto di pascere, e ghiandare nel territorio di Mottola, e propriamente nelle contrade S. Antuono, ossia Gaulella, e Poltri, anche in tempo di parata:

Il Duca, da parte sua, chiese di essere reintegrato nel possesso del bosco delle Chianelle, con condannarsi l’Università alla restituzione de’ frutti percepiti nonché che si dovessero demolire i parchi fatti da’ cittadini di Martina nel territorio ex feudale verso Taranto, di cui è parte il bosco delle Chianelle.

La Commissione, ascoltate le parti e il Regio Procuratore, con sentenza 11 aprile 1809 n.11 riconosceva “la promiscuità del territorio tra Motola e Martina” e quindi reintegrava “la stessa Università di Martina ne’ pieni usi civici ne’ menzionati due fondi feudali, abbenchè posti nel territorio di Motola, nel modo medesimo che gli stan godendo i Cittadini di Motola”. Circa la revindica del Bosco delle Chianelle, riconobbe che detto Bosco apparteneva in via esclusiva al Comune di Martina.

Per inciso, la promiscuità sulle contrade Poltri, Murgia, Pentima, Pandaro  e Santantuono fu definitivamente sciolta nel settembre 1900 con un accordo tra i Comuni di Mottola e Martina.

CONCLUSIONI

Le vicende qui succintamente delineate,  ci narrano di come siano progressivamente scomparsi, nel corso degli ultimi 5 secoli, i terreni demaniali aperti, coperti da bosco e da macchia, anticamente costituenti la Foresta Tarantina e della contestuale trasformazione di immense pietraie in terreni coltivabili, gradualmente appadronati mercè la recinzione con parieti di pietra a secco.

Dal punto di vista giuridico i problemi rimangono.

Il lungo processo di impossessamento e di privatizzazione di decine di migliaia di ettari di terreni demaniali gravati di usi civici soprattutto in territorio di Martina non può dirsi concluso.

Vi si oppongono, infatti, i caratteri della  inusucapibilità, inalienabilità, perpetuità  e imprescrittibilità che caratterizzano sia i demani sia gli usi civici sicchè, anche se tali terreni – di fatto – hanno perso i loro caratteri originari e si presentano oggi strutturati in masserie completamente chiuse da pareti di pietra a secco; giuridicamente essi continuano ad essere vincolati avendo impressa la qualità di terreni demaniali gravati di usi civici.

Per Massafra gran parte dei terreni demaniali, a suo tempo quotizzati, sono stati affrancati.

Per Martina, invece, si pone innanzitutto il problema della esatta individuazione dei terreni demaniali. Da essi vanno sicuramente esclusi i terreni siti all’interno del distretto delle 2 miglia nonché le menzane di cui alla conciliazione sottoscritta dai 6 comuni nel 1586.

Escluderei come praticabile l’affrancazione in massa di questi terreni  demaniali, ascendenti a circa 25.000 ettari, secondo il meccanismo della legge 1766 del 1927.

La soluzione più realistica – a mio parere – è quella di utilizzare i vincoli nascenti dalla demanialità al fine di tutelare il bene ‘paesaggio‘, considerando quei terreni soggetti al vincolo che vieta ogni innovazione e trasformazione che possa alterare il paesaggio e l’ambiente.

La materia degli usi civici è stata trasferita alle Regioni con l’art. 66 del  DPR 616/77.

Successivamente la legge 431/85 ha sottoposto a vincolo e a pianificazione paesistica le terre civiche.

La risorsa costituita dai demani e dagli usi civici, se utilizzata e conservata razionalmente, potrebbe quindi soddisfare le esigenze collettive dell’equilibrio ecologico, della difesa e pianificazione territoriale e della conservazione del paesaggio.


[1] G. Mastrangelo, Contributo sui Demani cit., pag.13.

[2] A. Palermo, voce Usi civici, in Novissimo Digesto Italiano, vol. XX, pag. 209 ss.

[3] A. Palermo, voce Usi civici, cit. p. 212.

[4] F. Muciaccia, Intorno ai documenti del Libro Rosso di Monopoli, in Rassegna Pugliese n. 9-10 (1907) p. 298, doc. LII.

[5] M. Ancona, Recenti vicende degli usi civici a Martina Franca, in Riflessioni Umanesimo della Pietra, 1990, pag. 23.

[6] G. Liuzzi,Il Castrum Martinae nel 1260 e la rifondazione angioina, in Riflessioni Umanesimo della Pietra, Marina 1990, pag. 20

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