Apprezzate lezioni dello studioso ed archeologo Roberto Caprara al Workshop 2011

Dal 28 aprile al 7 maggio si è tenuto in Puglia il workshop “Habitat Rupestre”, al quale hanno partecipato oltre ai partners spagnoli, francesi, greci e turchi anche numerose Università italiane e Fondazioni ed Associazioni culturali.  Tra i relatori l’apprezzato e noto studioso ed archeologo prof. Roberto Caprara che ha tenuto due lezioni ai partecipanti, la prima, dal titolo I particolari che fanno la differenza e le iscrizioni rupestri, il 2 maggio nell’Aula Magna del Liceo “De Ruggieri” di Massafra e la seconda, dal titolo Sui villaggi rupestri, il 4 maggio nell’aula magna del Liceo “Einstein” di Mottola.


Nella prima lezione, dopo un breve accenno ai principi generali dell’epigrafia e della paleografia ed aver sottolineato la profonda differenza che intercorre fra lo  scrivere col docile calamo o la penna d’oca sul papiro o la pergamena e l’incidere una iscrizione sulle scabre pareti di una grotta, è passato ad esemplificare la quantità di informazioni che si possono ricavare dalla lettura delle iscrizioni dei fedeli e dei visitatori di chiese e siti rupestri. Innanzitutto, dati sull’onomastica, e per questo ha ricordato nomi assai rari attestati in iscrizioni di siti rupestri, come quello di Senatore nella distrutta chiesa di San Giovanni in teritorio di Taranto. Poi dati sulla storia, come, in un’iscrizione della chiesa di Santa Lucia a Palagianello, l’informazione che il matrimonio era ancora in uso nel clero latino nel XII secolo, dato che il devoto si dichiara figlio di un sacerdote. Poi ancora informazioni linguistiche, come quelle provenienti da un’iscrizione greca di Grottaglie e da una di Crispiano in cui è usato il femminile per il nome ‘figlia’, peculiarità nel greco tarantino di XIV secolo, perché il greco conosce per ‘figlio’ soltanto il genere neutro, fatto per cui il grande Charles Diehl, nel XIX secolo, dette un’inaccettabile lettura dell’iscrizione di Grottaglie-

Ma siccome nel Medioevo solo pochissimi sapevano scrivere, spesso i fedeli si esprimevano per immagini, che vanno lette e interpretate, come quella della lotta fra l’Aquila e il Serpente, vale a dire il Bene e il Male, nella già citata chiesa di Santa Lucia a Palagianello, o gli ex voto propiziatori per viaggi da iniziare o di ringraziamento per viaggi condotti a buon fine rappresentati da persone a cavallo in numerose chiese rupestri, da quella di San Posidonio a Massafra a quella di Santa Margherita a Mottola. Forse significato diverso ha il cavallo sellato ma senza cavaliere che è nella chiesa di San Michele a Castellaneta che probabilmente è allusivo del detto scritturale :”Ho combattuto una buona battaglia, ho conservato la fede, ho condotto a termine il cammino.

Ma viaggi avvenivano anche per mare, e navi sono rappresentate in molte grotte e chiese (tanto che sull’argomento l’oratore aveva tenuto una conferenza il 28 aprile nel Salone degli Incontri del Museo Nazionale di Taranto per l’Associazione Amici dei Musei) e le navi sono da considerare ex voto per scampato naufragio o liberazione dalla schiavità sulle galere, come conferma un mutilo affresco nella chiesa rupestre di Santa Marina a Massafra. Una nave di tipo vichingo graffita nella grotta di Sant’Angelo a Santeramo racconta il lungo viaggio di un pellegrino scandinavo che su quella nave ha attraversato il Mare del Nord.

Vi sono poi graffiti che raccontano la liberazione dal demonio, come a Mottola nelle chiese di San Nicola a Casalrotto e Santa Margherita.

La lezione si è conclusa con la spiegazione di vari segni magico-apotropaici, come il pentalpha o Stella di Salomone diffusissimo e ritenuto protezione così potente che non era necessario esibirlo, come dimostra un affibbiaglio di VII secolo nel Museo di Cagliari, sul quale la Stella è incisa nella parte aderente al cuoio della cintura, o il più raro Nodo di Salomone, che rappresenta la stretta relazione fra l’uomo e Dio, usato da strati sociali e culturali più alti e, fra l’altro, dai Templari.

Nella seconda lezione ha parlato dei grandi villaggi rupestri, alcuni dei quali, come Matera, evolutisi in forma di città, esistenti nell’Arco jonico delle Gravine, da Matera a Grottaglie, i più grandi villaggi rupestri esistenti in Italia.

Ha parlato in dettaglio di Matera, dei Sasso Barisano e di quello Caveoso nei quali l’aumento della popolazione ha portato all’aggiunta di vani costruiti davanti alle abitazioni rupestri, così come a Ginosa nel villaggio del Casale, abitato fino agli anni venti del Novecento, ma non in quello di Rivolta, abbandonato, come la massima parte dei villaggi, intorno alla metà del Trecento, forse perché spopolati dalla peste nera o a causa delle continue guerre fratricide nel Regno di Napoli, come quella che portò alla distruzione di Mottola nel 1356, ricordata nella Cronica del notaio tarentino Angelo Crassullo e da Matteo Villani, Cronica, libro VI, cap. XVII.  Il Crassullo è assai preciso nella descrizione degli avvenimenti: “Anno 1358, mense februarii, intravit in Regnum Compania Guslendene et Mataratii multa mala faciens et capta fuit per eos civitas Motulae, eam ponentes ad saccum magnum et finalem exterminium”. La compagnia di ventura del conte francese de Laudon (Guslendene in Crassullo) svernava in Puglia. Erano i tempi grami in cui imperversavano le lotte per il possesso del regno fra i vari rami della dinastia angioina e Luigi d’Angiò-Durazzo capeggiava la rivolta contro i sovrani ed un suo sodale, Giovanni Pipino, conte di Minervino ed Altamura, aveva assoldato 500 uomini, staccandoli dalla Compagnia del Laudon e dirigendosi verso la Terra d’Otranto. Durante questo trasferimento dei mercenari da Rapolla e Venosa  venne presa e saccheggiata Mottola.  Fra le conseguenze della distruzione della città (il “finale sterminio” del Crassullo) vi fu il trasferimento del Vescovo, del Capitolo e dell’entourage amministrativo della Diocesi a Massafra, dove rimarranno per oltre quattro secoli, come dimostrato dall’esistenza del seggio episcopale (di recente dissennatamente distrutto per ignoranza) nell’antica Chiesa Madre massafrese, che assunse il ruolo di Cattedrale.

Ha parlato dei villaggi di piccole dimensioni nelle gravine minori di Castellaneta, del grande villaggio di Palagiano Vecchio in quella di Palagianello, abbandonato forse per il disseccarsi della fonte che costrinse gli abitanti ad andare a fondare, verso il 1350, l’attuale Palagiano, e dei grandi villaggi di Casalrotto e Petruscio nel territorio di Mottola, sottolineandone le analogie e le differenze.

E’ passato quindi a Massafra, parlando approfonditamente dei villaggi di Madonna della Scala, dove, insieme a Franco dell’Aquila, ha trovato tracce di attività siderurgica nel Medioevo, a dimostrazione della tesi da lui sostenuta che nei villaggi rupestri non vivevano soltanto gli ultimi della terra, comntadini e pastori, ma vi si svolgevano attività inimmaginabili prima delle recenti accurate ricerche,  e di Gravina San Marco, sopravvissuto fin verso il 1610, quando fu abbandonato per il verificarsi di almeno tre devastanti alluvioni fra 1604 e 1608, annotate nei libri di Battesimo parrocchiali.

Ha parlato del villaggio di Triglio e infine di quelli di Grottaglie, scusandosi per il fatto che, per motivi di tempo, ha dovuto trascurare numerosi villaggi minori, come quello importante di Trovanza a Massafra.

Ma chi è Roberto Caprara?
 Tutti sanno che è uno studioso ed archeologo di grande professionalità. E’ da tutti molto amato ed apprezzato per la sua disponibilità e visione culturale a 380 gradi. Compie 81 anni il prossimo 28 agosto, ma indomito continua a scorazzare nelle gravine… Ci piace ricordarlo bene con questa breve biografia. Ha frequentato le elementari nella scuola di Piazza Corsica, appena inaugurata, le scuole medie, durante la guerra a Maglie e Gallipoli, il liceo nell’Archita di Taranto, l’Università a Bari, dove si è laureato in linguistica, avendo avuto a maestri Giovanni Nencioni, poi Presidente dell’Accademia della Crusca, e Giovanni Alessio, autore, insieme con Carlo Battisti, del grande “Dizionario Etimologico della Lingua Italiana”.
La sua tesi ebbe ad argomento il dialetto massafrese, di cui stabilì il fondo generale latino, con modesti contributi greco-bizantini e germanici. Il vocabolario del nostro dialetto fu pubblicato nell’Annuario dell’Università di Bari del 1955.
Subito dopo la laurea iniziò la sua carriera di insegnante nel Liceo Archita. Ha insegnato anche nel Liceo Tito Livio di Martina Franca e nel Liceo Michelangiolo di Firenze. Dal 1947, insieme a suo fratello Attilio, fu fedele compagno del padre Luigi Abatangelo – che considerò sempre suo maestro – nelle visite alle chiese rupestri della Provincia e, quando apparve chiaro che il padre Luigi era stato colpito da un male che lo avrebbe portato alla morte, abbandonò la linguistica e passò a studiare l’archeologia post-classica nel Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana di Roma e presso l’Istituto di Antichità Bizantine e Ravennati di Ravenna, dell’Università di Bologna.
Dedicatosi professionalmente all’archeologia, soprattutto dopo essersi dimesso dall’insegnamento nel 1983, ha condotto una ventina di campagne di scavo e di ricerca in Puglia, in Toscana e soprattutto in Sardegna, dove ha vissuto per vent’anni.
Legato tenacemente a Massafra e alla Puglia, pur vivendone lontano da quarant’anni, è stato, dagli anni settanta in poi, uno dei riconosciuti innovatori degli studi sui villaggi e le chiese rupestri, la cui cronologia era sin allora appiattita su un indistinto medioevo bizantino. Grazie ai suoi studi oggi sappiamo, ad esempio, che le chiese di San Marco e della Buona Nuova sono anteriori al VII secolo e quella di Santa Marina non più tarda dell’VIII secolo e che, nel Medioevo, nel villaggio di Madonna della Scala non c’era soltanto, come si scriveva normalmente, una economia agricolo-pastorale, ma vi si svolgeva addirittura un’attività siderurgica.
Per questa ragione nella sua vasta bibliografia spiccano monografie su chiese rupestri massafresi, su quelle di Palagianello, di Taranto e Statte, di Castellaneta, di Sardegna, dove, prima del suo arrivo, le chiese rupestri erano completamente ignorate.
Alieno dall’autopromozione per procacciarsi premi ed onorificenze, ha accettato il “Premio Umanesimo della Pietra per la Storia” nel 2008 solo per rispetto agli studiosi che avevano votato il suo nome perché gli fosse assegnato.
E’ profondamente convinto che l’Archeologia oggi non sia più una scienza sussidiaria, quasi un’ancella, della Storia, ma, soprattutto l’Archeologia medioevale, sia scienza storica a pieno titolo (l’archeologo medievista legge e interpreta i documenti esattamente come lo storico), ed ha pubblicato e commentato testi medioevali umbri.
Autore, tra l’altro, di un codice del 1464, il “Quaterno del notaio Antonio Caricello”, erario di Massafra che allora era città regia, non infeudata, e sede di un allevamento regio di cavalli, che gli ha consentito di disegnare un inedito profilo della vita economica, sociale, religiosa della comunità massafrese nel Quattrocento. A lui si deve (tra l’altro) la scoperta della più lunga iscrizione messapica della Puglia che si trova su tre pareti della grotta a pianta quadrangolare irregolare, situata in contrada Corvo di Massafra, al centro di una cava di tufo abbandonata, nella zona di espansione urbana ad est della città, presenta su tre pareti la più lunga iscrizione messapica della Puglia. L’iscrizione (oggetto di un suo studio pubblicato nell’annuario IV (1960-1961) del Liceo “Archita” di Taranto), risale al III-IV secolo a.C.. Parlerebbe di una certa “Auxo Melis”, probabilmente una sacerdotessa. Secondo Caprara si tratta della più settentrionale delle iscrizioni messapiche, che indica che la zona di Massafra rientrava nell’area linguistica dei Messapi, precisamente, al confine tra l’area linguistica messapica e quella peuceta. Una prova di grande rilievo, sotto il profilo archeologico, visto che (come dice appunto lo storico Caprara) erano in molti a ritenere che il messapico fosse diffuso nella zona ad est di Taranto, da San Giorgio a Brindisi. Ptremmo continuare, ma ci fermiamo qui, citando solo i titoli di alcuni suoi libri: “La chiesa rupestre di San Marco”, Tipografia “il David”, Firenze, 1980), “La chiesa rupestre della Buona Nova “,- Tipografia “il David”, Firenze, 1979), “La chiesa rupestre di San Leonardo a Massafra” – con Marcello Scalzo – (Archeogruppo E.Jacovelli, Massafra 1998), “La chiesa rupestre di Santa Croce” ( 2007), ””Il territorio nord del Comune di Massafra” – con Carmela Crescenzi e Marcello Scalzo (1983), “Società ed economia nei villaggi rupestri” (2001, Schena Editore, 2001), “Il villaggio rupestre della gravina “Madonna della Scala” a Massafra (TA) – con Franco Dell’Aquila (Antonio Dellisanti Editore, 2007). Nelle foto: Roberto Caprara con Giulio Mastgrangelo; la grotta in contrada Corvo nella quale si trova la più lunga iscrizione messapica della Puglia.
(Nino Bellinvia)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *